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Il Gruppo di lettura “Il sentiero dei libri” ha scelto il libro per il mese di novembre 2021 ”Canne al vento” di Grazia Deledda.
Il libro
Romanzo di una Sardegna arcaica e fantastica, Canne al vento è, allo stesso tempo, storia di un popolo che erra alla ricerca di un raggio di speranza e di un figliol prodigo che ritorna a casa dopo aver perso tutte le speranze.
Dietro la semplicità voluta della trama, si nasconde un mondo denso di simboli e miti. Miti della Bibbia e miti profondamente umani.
L'ideale biblico più significativo è indubbiamente quello del "figliol prodigo", rappresentato dalla figura di Giacinto, nipote dei Pintor e, soprattutto, da quella del protagonista, il garzone Efix, che, ovunque vada, ritorna sempre alla casa cui è legato per l'eternità da un duplice movente: un assassinio — è lui che uccide il suo padrone, Zame — e l'amore che prova per le figlie della vittima.
L'impressione trasmessaci dall'autrice riguardo all'omicidio non è del tutto negativa. Zane è descritto come un uomo crudele e senz'anima. Di più, Efix uccide per amore e per onestà. Il suo non è il gesto di un comune innamorato, ma di un amante della giustizia, della vita. Egli vuole proteggere Lia dal padre e difendere la sua fuga. Le altre sorelle, Ruth, Ester e Noemi, rimarranno per sempre prigioniere dell'ombra del genitore morto. «… un timore di vita, un desiderio di morte, una paura di passioni, uno stato di umilità, tutte le disgrazie, le lagrime, il rancore».
Efix si accorge che non ci sarà mai più nulla da cambiare e decide di proteggerle a rischio di non vivere la propria vita. La sua filosofia è «l'uomo è così fatto: buono e cattivo, poi è sempre infelice, i ricchi pure sono spesso infelici».
Accompagnandolo, anche noi riusciamo a scorgere i suoi sforzi per redimersi dall'assassinio, suo più grande e unico peccato — lavorerà senza paga, seguirà un'esistenza da mendicante con un senso di religioso pentimento, accorderà piena fiducia al nipote Giacinto, accolto come un figlio, ambirà a vedere Noemi sposata. Il tutto culmina nello sforzo sovraumano di non morire prima delle nozze, cossiché la sua morte non possa in alcun modo rappresentare un motivo di fallimento.
Leggendo il romanzo, si scopre un mondo arcaico popolato da folletti e morti che resuscitano la notte. Un mondo primordiale, dove ciascuno conosce bene il proprio luogo. Grazia Deledda immagina la storia come un misto di tradizioni, miti e umanità, tutto riscaldato dal sole ardente dell'isola, dove la gente si lascia portare dal vento: la sorte.
Significativo è il dialogo tra Ester e Efix, due persone che, dopo una vita vissuta nel paese, si sentono come "canne al vento". Ester: «Perché la sorte ci punisce così come punirebbe le canne?» Efix: «Sì, siamo esattamente come le canne al vento. Noi siamo le canne e la sorte il vento». Ester: «Sì, va bene, ma perché questa sorte?» Efix: «È perché il vento? Solo Dio lo sa». Un dialogo drammatico, paragonabile a una pièce teatrale, che riflette la concezione sarda della divinita e del mondo.
Poetica e teatrale è anche l'immagine della giovane Grixenda che piange la propria pena d'amore per Giacinto, facendo piangere anche Efix: «… e il dolore di entrambi era quello di questo popolo, che ricordava al garzone un passato di ombre e lui sognava assieme a questa ragazza ad un futuro luminoso, tormenti di sofferenza, d'amore». Così, Efix dedica la vita alla famiglia rovinata dei Pintor. Il suo sacrificio è tanto bello quanto crudele, egli non ne ricaverà nessuna soddisfazione, al contrario, soltanto sofferenza. Giacinto descrive in modo ottimale il personnaggio di Efix: «… anche i Santi sono stati tormentati eppure non cessano di essere Santi».
Ed ecco il mito "faustiano" di chi trova la propria felicità aiutando gli altri. «Tu dove hai trovato la vera Ascensione?» «Vivendo per gli altri», dice Giacinto a Efix e continua «Così voglio far anch'io, Efix, come te, sei tu quello che mi ha salvato, io voglio essere come te».
Non vorrei privare il lettore di un così grande piacere, scrivendo di più sul romanzo, che è un invito particolare alla scoperta dei valori belli della vita, più o meno nascosti in ciascuno di noi, che sia servo o padrone. (G.I.)
Dal sito: http://www.italialibri.net/opere/cannealvento
L’AUTRICE
Grazia Deledda è stata una scrittrice italiana e vincitrice del Premio Nobel per la letteratura nel 1926, prima donna italiana a ricevere questo riconoscimento. Originaria della Sardegna, precisamente di Nuoro, Grazia Deledda ha parlato della sua isola moltissime volte nelle sue opere, avendo anche molto caro il tema dell’etica patriarcale. Tra gli altri temi, la scrittrice ha approfondito il fato, peccato e colpa, bene e male e sentimento religioso. Cerchiamo di scoprire qualcosa di più su questa abilissima scrittrice italiana che per prima ha meritato il Premio Nobel per la letteratura.
Grazia Deledda: la vita
Grazie Deledda nasce il 27 settembre 1871 a Nuoro da una famiglia borghese agiata. Quinta di sette figli, il padre ha ottenuto il diploma di procuratore legale, lavora nel commercio del carbone ed è un cattolico intransigente.
Ad appena diciassette anni Grazia invia alla rivista romana Ultima moda il suo primo racconto, “Sangue sardo”, in cui la protagonista uccide l’uomo che ama e che non corrisponde il suo affetto, volendo sposare invece la sorella di lei. Il testo entra a far parte del genere della letteratura popolare e d’appendice.
Tra il 1888 e il 1890 Grazia Deledda collabora con una serie di riviste sarde, romane e milanesi dilettandosi sia con la prosa che con la poesia. L’opera che da il via alla carriera letteraria dell’autrice è "Fior di Sardegna", del 1892, che ottiene buone recensioni. Le opere di Grazia Deledda sono influenzate dal clima tardo romantico, esprimendo più che le effettive relazioni, i sogni sentimentali della ragazza.
Ultimo aggiornamento: 08-09-2023, 14:58